sabato 21 maggio 2011

The Tree of Life. CinePsicoRecensione

Non è semplice parlare di “The tree of life”, ultimo film di Terence Malick, con Brad Pitt e Sean Penn.  Probabilmente per provare a chiarire di cosa si tratta, per provare a descriverlo, dovremmo uscire dal termine “film” e parlare di un’opera d’arte complessa, forse anche complicata. Più “video arte”, che film. Una pellicola in cui la visione delle immagini ha un qualcosa di più complesso che va al di là del contenuto della trama e delle immagini stesse. E’ raro che ciò accada. Ricordo di averlo pensato solo in riferimento ad alcuni film di Greenaway e Kubrick.
Di fondo, il film tratta dei primi anni di vita di un ragazzino nella provincia americana. Molti ritengono sia una fantomatica biografia dello stesso Malick.. ma di Malick non si sa quasi nulla, quindi sono solo ipotesi lontane.. però molti lo sospettano. Il bambino cresce, diventa ragazzino, poi lo vedremo uomo (Sean Penn). Il suo percorso di sviluppo è segnato dal confronto continuo con una famiglia dominata da un padre che non definirei violento, ma dai modi certamente aggressivi, autoritari. La madre dolce, gentile, forse fin troppo dimessa. E altri due fratelli. Comprendiamo all’inizio del film che il fratello minore diventato ragazzo partirà in guerra (presumibilmente il Vietnam) e lì morirà. Questo sconvolgerà la famiglia.
Questa è in sintesi la trama, che in sé e per sé è molto semplice. Ma il centro del film non sta in questo, bensì nel modo in cui il regista lo propone. A Cannes è stato egualmente osannato come capolavoro assoluto e fischiato come pellicola abnormemente tediosa. Come al solito, penso la verità stia al centro, e comunque il fatto che il film divida secondo me è positivo, perché vuol dire che non è un film che si assume percettivamente e basta, ma spinge a pensare, a riflettere e a dare un giudizio.
Le critiche si concentrano soprattutto su di un versante : il film ha ritmi lenti. Ha ritmi molto lenti. E’ più contemplativo, che descrittivo o narrativo. Fenomenologico probabilmente. Una contemplazione dell’umano esistere, non troppo distante, del resto, da quanto aveva fatto con “La sottile linea rossa”. Questo è il suo stile, il suo cinema, il suo pensiero. La sua arte.
Il film è tutto giocato sulle immagini, sugli sguardi, sul non verbale. Lo sguardo che il bambino ha sul mondo e sui genitori. Lo sguardo che ha sulla natura e sul mondo. L’esperienza che lui fa di esse, ed in base a cui “legge” il mondo e la sua stessa vita. E noi leggiamo la sua, come abbiamo letto e leggiamo la nostra. Il bambino parla poco col padre e il padre insegna poco a parole al figlio: tutto è giocato su “quanto” e “come” i due si avvicinano e si ritraggono l’uno dall’altro, come convivono amandosi e odiandosi. Da questo punto di vista è un film che consiglierei ad un sacco di colleghi psicologi, soprattutto a chi si occupa di infanzia, di attaccamento, di sviluppo della personalità.
Ma non è solo l’esperienza di una vita, il percorso di un essere umano che conosce il suo mondo e se stesso, è qualcosa di più. Malick tenta un’impresa rischiosa, ma affascinante: riallacciare lo sviluppo della vita del bambino con lo sviluppo del mondo stesso. E’ ciò che gli psicologi evoluzionisti chiamano “il racchiudersi della filogenesi nell’ontogenesi”.. nel nostro percorso di crescita, nel modo in cui affrontiamo il mondo, fisicamente e psicologicamente, non c’è solo la nostra esperienza, ma millenni di esperienza dell’uomo. Millenni hanno plasmato la natura, il mondo, la civiltà. Millenni hanno contribuito a creare il cervello che adesso ci portiamo ognuno dentro di noi. Millenni hanno contribuito ad affinare la nostra mente, le nostre motivazioni di base.


Ed è lì nel confine tra il nostro sistema mente/corpo e il sistema mondo/universo, che Malick pone la domanda : seguire la Grazia o seguire la Natura ? Seguire cioè un simbolo materno, dato di dolcezza, comprensione, tenerezza, oppure seguire il simbolo paterno, dato di lotta cannibale, irruenza ma anche autoritarismo.
Parallelamente alla nascita del bambino vediamo il big bang. Parallelamente ai primi giochi sociali del bambino, vediamo dei dinosauri che si attaccano ed uno che riesce a sopravvivere solo perché si finge già morto. Sopravvivenza e assunzione di ruoli.
Per dire che “sopravvivenza” e “assunzione di ruoli” non sono solo dinamiche degli esseri umani contemporanei, ma sono qualcosa che è inscritto a fuoco dentro ognuno di noi per le esperienze di millenni.
In questo si vede più chiaramente il concetto di “Albero della vita”, che è un archetipo culturale, oltre che uno dei più celebri soggetti artistici. Torna alla mente nella sua bellezza il quadro di Klimt. La sostanziale differenza tra l’albero della vita come concetto darwiniano e l’albero della conoscenza biblico. Nel portale della Cattedrale di Palermo c’è un bassorilievo che lo rappresenta.
Ma stando al cinema, non mancano gli esempi, l’albero di “Forrest Gump” e quello di “Avatar”, in primis .
Quindi non solo il concetto di “vita” e di “forza naturale”, ma quello più complesso (perché carico di più sofferenza) di “crescita”.
Tutto questo è tradotto in immagini che sanno parlare sia il linguaggio della grandiosità e dello spettacolare, sia quello dell’intimo, del vivere soggettivo. Qualcosa che è difficile a dirsi a parole, figuriamoci a renderlo visivamente…! Basta vedere il passaggio dalla scena in cui il padre carezza per la prima volta i piedi del bambino appena nato, a quella in cui asteroidi colpiscono la terra e danno vita allo spostamento di masse terrestri ed all’inizio della vita senza i dinosauri.


Il delicato e il roccioso, il tenero e il violento, il sensuale e il rabbioso. La Grazia e la Natura.
L’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande. Forse è questo che ci si chiede nel film: l’infinitamente piccolo dell’umana esistenza e lì infinitamente grande dell’universo sono baciati dallo stesso respiro, sono frammenti di uno solo unico grande percorso. Se tutto ciò può portarci a non guardare più come il film descrive la vita, ma a chiederci noi stessi la vita che cosa sia, sulla base delle immagini del film.. bhè questo è solo un gigantesco merito del regista! Se poi qualcuno mentalmente si sposta dal concetto di vita a quello di Vita e di Dio, a prescindere dalla risposta che si darà, il merito è doppio.
L’infinitamente piccolo della natura e l’infinitamente grande dell’essere umano. Anche. Se vogliamo.
Il grande e il piccolo.
Questa è la Natura ed il mondo, spazi immensi sconfinati che ti fanno sentire tremendamente piccolo e nullo, ma anche piccole foglie dai colori lucenti, insetti minuscoli che in loro stessi racchiudono il tocco della vita unica e irripetibile.
E così è anche la vita dell’essere umano, tra momenti sorprendenti e piccoli impercettibili drammi che sembrano a tutti unici e sconosciuti. In questo senso la scena in cui il ragazzino passeggia di sera tornando a casa e osservando la gente che sta dentro ed urla cose da lontano incomprensibili, bhè.. è una scena straordinaria.
Chiedere allo spettatore di conciliare in un solo pensiero, in una sola visione, tutto questo non è certo semplice. Non credo nemmeno sia un discorso di capacità di comprendonio dello spettatore medio. E’ un film ambizioso e difficile, che tratta un argomento filosofico attraverso un linguaggio prettamente visivo. A mio avviso un linguaggio espressamente concreto, ma a qualcuno sembrerà mistico. A molti piacerà e a molti non piacerà, e penso sia normale e sia anche giusto. Non è un film fatto per piacere a tutti. E’ un’opera d’arte tanto grandiosa quanto intima per alcune brevi immagini, per alcune risonanze emotive che può procurare.
Il mio giudizio è che è un grande film, che descrive il rapporto figli-genitori con una delicatezza ed una potenza che raramente avevo visto. Basta vedere la locandina del film per capire cosa voglio dire. Per una volta, oltretutto, la locandina italiana è assolutamente superiore a quelle originali americane.
  
Il mio consiglio è di vederlo. Vederlo responsabilmente, come si suol dire, consapevoli che è lungo e dai ritmi lenti, quindi evitare l’ultimo spettacolo della giornata, dopocena. Però vederlo, ne vale assolutamente la pena. Raramente si era visto qualcosa del genere. Raramente se ne vedrà.